A tu per tu con Enrico Ruggeri, tra musica, tv e libri
Se le sonorità ricercate delle sue canzoni continuano ad affascinare, il contenuto dei suoi testi, mai banale o scontato, continua a far riflettere. Canzoni nate dalla sua straordinaria capacità di osservazione e di introspezione che da sempre lo accompagnano. Una carriera quella del “Rouge”, così lo chiamano i suoi fan , votata alla continua sperimentazione dei diversi generi musicali. Dal punk allo stile degli chansonnier passando per il rock, pur rimanendo sempre fedele a se stesso e al suo modo di fare musica.
Misterioso ed enigmatico. Poliedrico e raffinato. Enrico Ruggeri non smette mai di emozionare. Un artista votato alla continua ricerca e sperimentazione dei diversi linguaggi. Dalla musica alla tv, passando per la scrittura.
Abbiamo incontrato Enrico Ruggeri poco prima di salire sul palco in occasione della tappa di Luzzi (CS) del suo Tour “Che Giorno Sarà” ed ecco cosa ci ha raccontato…
Nel corso della tua lunga carriera hai avuto modo di sperimentare diversi linguaggi. Cosa ti spinge ogni volta a ricercare espressioni artistiche così differenti?
La curiosità, la voglia di nuove sfide, la voglia di non ripetersi e di stupire se stessi. Io sono uno che a 48 anni ha fatto la sua prima trasmissione televisiva. Se non hai una battaglia da intraprendere, sei morto. A un certo punto della tua carriera hai iniziato a scrivere, non solo testi di canzoni, ma anche poesie, racconti e di recente anche un romanzo.
Cosa significa per te raccontare e raccontarti attraverso la scrittura?
A me piace raccontare le storie a qualcuno. Mi piace mostrare che dietro quello che si vede, c’è sempre qualcosa in più. L’ho sempre fatto con le canzoni, poi con i libri e con la televisione. Sono tutte inclinazioni, come dire, “figlie della stessa patria”. Poi c’è la voglia di mostrare agli altri che la vita è molto poetica.
Il tuo nuovo tour prende il nome dal titolo del tuo ultimo libro”Che Giorno Sarà”. Come mai questa scelta?
Ma intanto perché nella storia della musica non lo aveva fatto mai nessuno. I tour si sono sempre chiamati con i nomi dei dischi. Mi piaceva fare una cosa che non era mai stata fatta: chiamare un tour con il titolo di un libro. Questo romanzo è la cosa della quale vado più orgoglioso.
Come è nata l’idea di scrivere questo libro?
Volevo passare dalla formula racconto a quella del romanzo. Non è stato semplice. Ho messo un po’ di anni a prender dimestichezza. Era una storia interessante da raccontare. Si tratta di una storia molto vicina e nello stesso tempo molto lontana da me. E’ la storia di un cantante che ha scritto una sola canzone di successo e quindi è una storia che sarebbe potuta capitare a tutti.
Quanto di autobiografico si nasconde tra le pagine di questo romanzo e nel suo protagonista?
Tutto e niente. Nel senso che a me è andata in maniera molto diversa rispetto a Francesco Ronchi, il protagonista. E’ anche vero che io sono partito con i miei progetti, i miei sogni e all’inizio forse ho trovato le persone giuste. Sono stato fortunato. Insomma un insieme di cose per le quali a me non è andata così, ma avrebbe potuto. Quindi bisogna vedere cosa sarei stato io se non avessi fatto le cose che ho fatto. Forse sarei stato come lui.
Per avere successo nel mondo della musica quanto conta la tenacia, quanto il talento e quanto il fattore fortuna?
La tenacia sul talento. L’anno scorso ho fatto il giudice a X Factor. C’era gente che aveva una grande tenacia, ma neanche un briciolo di talento. E’ chiaro che bisogna avere un’autoanalisi e sapere quanto vali. Una volta che sai quanto vali, allora la tenacia è fondamentale per non mollare. La frase che dicono tutti “non mollare” in astratto non ha significato. Se io invece di fare il cantante , avessi voluto fare il fotografo e non sono bravo a fare le foto, avrei potuto avere tutta la tenacia del mondo, ma non sarei mai diventato un bravo fotografo. Prima devi capire chi sei e quali sono le tue potenzialità e solo dopo la tenacia è importante.
Cosa ti ha lasciato l’esperienza di X Factor?
E’ stata un’esperienza faticosa. Bella, da non rifare, però sono contento una volta di averla fatta. Mi ha lasciato molto, perché in qualche modo piloti, gestisci i sogni dei ragazzi. Un lavoro difficile, di grande responsabilità da affrontare anche seriamente, durante il quale hai anche qualche sofferenza e qualche tribolazione quando devi scegliere o uno o l’altro. E’ un’emozione molto forte.
Che consiglio ti senti di dare a un giovane che si avvicina al mondo della musica oggi?
Preferire se stessi ai propri miti. Il problema oggi è che ascolti uno e assomiglia a qualcun altro.
Secondo te oggi, rispetto ai tuoi esordi, è più difficile per un giovane approcciarsi al mondo della musica?
Sì. E’ più difficile. Una volta bastava avere talento. Oggi non solo devi aver talento, ma devi azzeccare il primo pezzo, perché nessuno ti dà una seconda chance. Tutti quelli che vendono molti dischi e che hanno successo oggi , prendi chiunque, Vasco Rossi, Ligabue, Battiato, Renato Zero, Zucchero, non hanno venduto al primo disco, ma al quarto, al quinto tentativo. Oggi se sbagli il primo disco sei fuori.
Nei testi delle tue canzoni spesso affronti tematiche sociali , come la pena di morte, la guerra, ma lo fai in modo poetico. Che ruolo può avere la musica nell’avvicinare il pubblico a temi di questo tipo ?
Fondamentale. Perché i musicisti sono gli unici che non hanno mai tradito nessuno. I politici hanno tradito. I grandi della terra spesso hanno tradito. I musicisti no. La musica negli anni 60 ha fermato la guerra in Vietnam. E’ stata la prima ad interessarsi ai continenti poveri. In questo momento l’unico modo per radunare dei ragazzi e dire loro delle cose è fare un concerto rock.
Progetti futuri?
Ho ancora un mese di tournèe, poi vedremo.